La spiegazione di cosa sia CivicHackingIT la trovi nell’ultimo post (e sì, concordo con chi afferma che sia un sacco di lavoro). Non vorrei ripetermi, quindi presuppongo tu l’abbia letto. Qui vorrei raccontare un po’ di retroscena sul come nasce e si sviluppa un libro-progetto (se ti interessa, invece, qualche riflessione sul civic hacking in Italia, Matteo ha da poco pubblicato un blogpost a tal proposito, partendo dalla timeline che aveva fatto in precedenza).
Dato che siamo due autori, ognuno ha deciso di imbarcarsi in quest’impresa per motivi diversi, ma abbiamo una visione comune che poggia su due pilastri principali: il civic hacking va raccontato e le nostre voci non sono le uniche che contano.
Non è un’antologia
Abbiamo da poco cambiato il sito (curiosa e dicci cosa ne pensi). Come un buon coltello da cucina, se si decide di avere un sito – ossia un buchino microscopico che permetta di spiare sul e dal progetto – va tenuto efficiente. Il che significa affilarlo, affinarlo e imparare dall’esperienza. Hai mai preparato una cena con un coltello che è stato trascurato? Io sì, ti posso garantire che sminuzzare gli ingredienti è stato parecchio faticoso, mi sono tagliata (con i miei coltelli non era quasi mai successo) e ci ho messo più tempo del normale.
Il nostro sito era nato a fine maggio: avevamo bisogno di una piccola vetrina per presentare il progetto – o meglio, la fase del progetto che avremmo presentato a Open Data Fest. In quel momento, ci serviva per spiegare alle persone che volevamo sentire le loro voci, che cercavamo suos-chefs per aiutarci nella grande cucina della stesura del libro.
Sous-chefs, appunto.
Nelle nostre teste, il sito che avevamo messo in piedi (Matteo ha lavorato alle cose tecniche, io ai testi e alle grafiche) questo messaggio lo lanciava chiaramente: “noi siamo gli executive chef! Sappiamo che ingredienti abbiamo e che menù vogliamo servire!”. Dopo qualche mese abbiamo capito che il messaggio non era così chiaro. Più di qualcuno crede che quello che stiamo facendo è “solo” raccogliere le creazioni dei nostri sous-chefs per poi confezionarle in un piatto finito. Non è così. Stiamo scrivendo un saggio organico in cui alcuni esempi concreti ci servono per far capire meglio alcuni concetti complicati (ad entrambi, annoiano terribilmente quei libri autoreferenziali in cui sembra che l’autore abbia tutte le risposte. Personalmente so che le idee sono semplicemente migliori quando sono libere di circolare e imbrattarsi di altre idee).
Come scegliere i propri sous-chefs?
Fin da quando abbiamo cominciato a parlare di questo libro, prima, e progetto, poi, sapevamo che alcune cose avremmo voluto sentirle dai protagonisti. E, come in tutte le cucine, il personale ha due modi per entrare: annuncio pubblico o scelta dell’executive chef.
La raccolta di storie è andata proprio in queste due direzioni. Da una parte, sapevamo che alcuni dei progetti che abbiamo conosciuto grazie a Spaghetti Open Data sarebbero stati perfetti per alcune specifiche parti del libro (e li abbiamo definiti spintanei). Dall’altra, non volevamo chiuderci alla possibilità di scoprire qualcosa di grandioso (e molte delle candidature spontanee che ci sono arrivate lo sono). In futuro ne parleremo in maniera più approfondita, ma sia le storie spontanee che quelle spintanee fanno parte di un’ottima brigata di cucina. Per il momento, sappi che creare suddetta brigata è un impegno: tempo e organizzazione sono essenziali.
Soprattutto, il tempo.
Dove mettere cosa?
Per rispondere a questa domanda, devo raccontarti a che punto siamo con il libro e come ci siamo arrivati.
Al momento stiamo scrivendo la prima bozza. La prima bozza è lo stadio embroniale del libro. Tornando alla metafora culinaria, stiamo facendo il brodo per il risotto. Ci siamo divisi i capitoli e ognuno dei due sta scrivendo la propria parte, inserendo anche le storie che abbiamo raccolto finora.
Il passaggio successivo sarà una prima revisione (che farò io) che renderà coerenti stile e forma (scriviamo e pensiamo in maniera diversa, ma il libro è uno e ci tengo che sia percepito come un unico risotto, non come riso, zucca e formaggio). Dopodiché, affineremo il libro facendo tutte le revisioni e bozze che servono per renderlo il migliore risotto che possiamo creare da soli, prima di mandarlo ai lettori beta (di tutto questo processo, però, scriverò nei volumi futuri di questa “rubrica” per il mio blog). Stiamo anche cercando di capire se questo sia il modo migliore di lavorare per noi, forse no, forse sì.
“Aspetta, state scrivendo, ma avete già i capitoli?”
Ottima osservazione.
Generalmente, gli scrittori, specialmente di narrativa come me, si dividono in due categorie: i pianificatori e gli improvvisatori. Gli americani li definiscono plotter o panster. Per capire la differenza nel metodo di lavoro, ti consiglio di leggere questo articolo di Jane Friedman. In breve, i pianificatori hanno bisogno di avere su carta tutta la struttura del libro (archi dei personaggi, colpi di scena, partenze, finale, etc.) prima di scrivere; gli improvvisatori preferiscono partire da un’idea generale e lasciarla sviluppare da sola, metaforicamente parlando. Non c’è un metodo giusto e uno sbagliato, solo uno giusto PER TE o sbagliato PER TE.
Infatti, io sono un mix tra le due cose, ma sono più vicina ad un panster che ad un plotter. Sapevo, comunque, che questo tipo di approccio non avrebbe mai funzionato per un saggio, specie se lungo, perché prima di tutto sono pigra. Scrivere un saggio in modalità panster implica sobbarcarsi almeno un paio di macrorevisioni in più (quelle in cui scopri con orrore quanto sei capace di sbrodolare quanto scrivi, quelle in cui trovi i buchi narrativi – che sono possibili anche nei saggi, quelle in cui ti accorgi che non sei chiaro come credi quando scrivi). Lo so per esperienza. Queste macrorevisioni sono una delle cose più tediose del processo di scrittura, per me. Le faccio, ma le odio. Matteo, invece, le adora. Dato che abbiamo scritto insieme altre cose, sapevo prima di iniziare che il suo è un metodo “braindump”: butta tutto (idee, fonti, riflessioni, brodo, uova, cioccolato) in un unico pentolone e li fa diventare un risotto con affinamenti successivi tramite revisioni macro e micro (toglie, mette, elabora, sistema, corregge, riscrive). Le macrorevisioni e Matteo hanno una storia d’amore segreta alle mie spalle. Forse, per quello le odio :).
Comunque, al di là delle macrorevisioni, un altro ENORME problema di non avere una ricetta mentre si scrive un saggio è il rischio di mettere il sale due o più volte, ad esempio. Oppure buttare la chiara d’uovo che ti serve in un passaggio successivo. Per i saggi serve ordine e metodo. Serve la ricetta. Che io non avevo. Per Il Colophon scrivo saggi brevi o recensioni, ma l’unica cosa assimilabile ad un saggio e relativamente lunga che io abbia scritto è la tesi all’università. All’epoca il mio relatore mi aveva fatto compilare un indice di massima, prima ancora di decidere se lavorare con me. Forte di questa esperienza, ho cominciato la ricerca di una ricetta adatta al nostro lavoro. Se c’è una cosa che so fare bene è cercare informazioni online e mi sono imbattuta in questo pdf di Michal Stawicki. Gli ingredienti che avevo in testa c’erano tutti: attenzione al prodotto editoriale, marketing, indice, semplicità e rapidità (questo è pur sempre un progetto che facciamo nel tempo libero). Avevo trovato la ricetta!
Fammi vedere ‘sto indice!
L’indice, già. Se volevi trovare la versione completa, mi spiace deluderti, ma si tratta di 13 facciate ed è più di quanto io stessa possa sopportare di leggere in una volta sola.
13 FACCIATE???? SIETE PAZZI????
Ebbene sì. T R E D I C I facciate. Perché il metodo di Michal è quasi totalmente plotter. Il pdf è lapalissiano su come trovare la propria ricetta.
Step #1 – You need 5 main themes that you will address.
Step #2 – Dedicate 2-3 chapters to each theme.
[…]
Step #5 – Plan on having 5 sub-sections per chapter.
Step #6 – Brainstorm 3 questions per sub-section.
Fatto questo, rispondi alle domande per le sottosezioni e ti trovi la prima bozza bella e pronta.
Per il nostro libro, i 5 argomenti sono:
- Open Data
- Civic hacking (o come ti cambio le dinamiche della società)
- Comunità
- Zone grigie
- Prototipi
La struttura ad albero poi prosegue così (lo copio-incollo dalla bozza privata, se ci sono errori perdonaci):
Open Data – capitoli
1.I Cosa sono
1.II I dati non sono solo numeri
1.III Gli Open Data non sono solo Government Data
Open Data – sottosezioni
1.I Cosa sono
1.I.I definizione di Open Data
(cosa significa Open? Cosa significa data? Cosa significa Open Data?)
1.I.II norme che facilitano Open Data e civic hacker – FOIA4ITALY, Belisario
(quali sono gli obblighi di legge al momento? Vengono rispettati? Gli strumenti dei civic hacker: FOIA, accesso civico)
1.I.III parliamo di standard
(perché sono importanti gli standard tecnologici e non, non reinventiamo la ruota, open by default)
1.I.IV tecnologie
(la tecnologia è un mezzo non un fine, macchine e umani, macchine e macchine)
1.I.V gli Open Data e i civic hacker
(si parte dall’estero, Spaghetti Open Data crea il primo non-portale, il governo crea il primo portale ufficiale)
Come vedi, al punto 1.I.II c’è sottolineata la storia di uno spintaneo (Belisario).
Come vedi, data la struttura, è abbastanza facile riempire 13 pagine (posso fin da ora promettere che l’indice definitivo che finirà nel libro sarà molto molto molto più corto :D).
“Cioè, mentre decidevate cosa dire, avete anche deciso cosa chiedere ad ogni suos-chef???” Ni: per gli spintanei sì, per gli spontanei no (per loro abbiamo deciso man mano che le ricevevamo). Per le storie spontanee abbiamo aperto un form con una formula più generale, ma che fosse comunque in linea con il resto del libro:
Ci interessa la tua esperienza: le persone cambiano, ma si spera che gli atti di hacking restino, si evolvano, trovino nuove soluzioni. […] Raccontaci che problema hai individuato, come l’hai risolto (o hai tentato di risolverlo – anche le difficoltà trovano spazio),con chi (se vuoi mettere i nomi, ricordati di dirci anche che tipo di competenze hanno portato) e perché, secondo te, è un atto di civic hacking.
Per il resto?
Oltre ad essere partiti dall’indice, stiamo cercando di tenere un approccio snello alla scrittura: lavoriamo quando possiamo nel modo migliore possibile per noi. Abbiamo un “metodo” e degli strumenti che ci aiutano (magari però ne scrivo un’altra volta). Cerchiamo di prenderci dei giorni di pausa (pausa pausa, non evento-pausa), per non rischiare il divorzio. Il progetto è già piuttosto complicato di per sé, in più siamo due executive chefs. Fare un minestrone (sia in senso metaforico, che come frase idiomatica) è un attimo ;)!
Ps. ci stiamo informando su come applicare il metodo AGILE alla scrittura di questo libro (qui e qui trovi due esempi di due autori che l’hanno fatto). Ci sembra una cosa molto sensata essere il più inclusivi possibile, sia con i lettori, sia con gli eventuali editori, ma siamo un po’ sopraffatti dal processo. Vediamo cosa riusciremo a fare. Nel frattempo, ti interessa leggere di più dell’indice? Faccelo sapere via Twitter.
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